
Anoressia: il peso di un disagio
Il nostro corpo rappresenta uno strumento di relazione sociale con il quale ci mostriamo agli altri, ci esponiamo al giudizio del mondo esterno, cerchiamo di farci accettare e ci presentiamo.
Insomma il nostro primo biglietto da visita!
Ma come ci permette di entrare in relazione con l’altro, allo stesso modo il corpo può trasformarsi in un vero e proprio nemico da combattere, soprattutto quando non ne riconosciamo i bisogni.
È il caso dell’anoressia nervosa, disturbo ormai noto e diffuso prevalentemente nel sesso femminile (in una percentuale superiore al 90%) e il cui esordio coincide spesso con la pubertà, un momento in cui l’adolescente si trova a dover far fronte a tutte le sfide che impone la propria fase di ciclo di vita, quali la sessualità e i cambiamenti fisici del proprio corpo.
È proprio attraverso il digiuno e la manipolazione del corpo che la ragazza anoressica cerca di esercitare il controllo su aspetti del proprio sé, dandole l’illusione di una sensazione di autonomia.
La tematica del controllo, fortemente presente nella ragazza anoressica allo scopo di venire accettata dagli altri, si manifesta attraverso rituali specifici quali la scelta minuziosa di cibi a basso contenuto calorico, masticazione lenta spesso seguita dall’eliminazione del cibo, intenso esercizio fisico, continua misurazione del peso e delle parti del corpo percepite grasse, uso di lassativi.
Ciò che caratterizza l’anoressia nervosa, che troviamo tra i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, è il profondo terrore di ingrassare e la ricerca della magrezza, continui pensieri ossessivi relativi al cibo ed alla propria immagine corporea, percepita come distorta, che porta a vedersi sempre grassi anche in evidente sottopeso.
Ma cosa spinge una ragazza a rifiutare il cibo?
Spesso si tratta di uno spostamento sul corpo di un disagio psicologico legato alla propria valutazione personale: la percezione di essere sbagliata, non desiderabile, inadeguata con la conseguente emozione di vergogna.
Da un punto di vista psicologico, possiamo riscontrare spesso:
- aspetti depressivi, ovvero una perdita di interesse per le cose che un tempo erano gradite e per i contatti sociali, chiusura progressiva della persona in se stessa e nei propri rituali;
- tendenza al perfezionismo, che spesso nasconde un’identità fragile che ha bisogno di continue approvazioni dagli altri e di dimostrare a se stessa che è capace di riuscire in qualcosa;
- difficoltà interpersonali, derivate dal fatto che gli altri possono essere vissuti con insofferenza e irritabilità, non solo perché non “capiscono” il problema della persona anoressica, ma perché possono osservare e giudicare il suo corpo e il suo aspetto fisico;
- paura di crescere, che può manifestarsi non con l’aggressività esplicita verso i genitori, quanto con un rifiuto del cibo;
- scarsa empatia, intesa come una difficoltà a riconoscere gli stati emotivi altrui, che si riscontra maggiormente nelle situazioni di particolare sottopeso;
- limitata capacità decisionale, caratterizzata da una sorta di regressione all’infanzia in cui non si è ancora in grado di decidere, non avendo ancora dei gusti ben definiti.
Ma cosa si può fare quando il nostro corpo diventa il nemico da sconfiggere?
Il trattamento dell’anoressia, soprattutto nelle fasi acute, dovrebbe essere affidato ad una équipe multidisciplinare, composta da medici con competenze internistiche e psichiatriche, psicologi-psicoterapeuti, dietisti e personale infermieristico.
Va sottolineata l’importanza del coinvolgimento dei genitori nel trattamento dell’anoressia.
La famiglia, infatti, viene vista come la cornice e il contesto elettivo per la manifestazione dell’anoressia e i genitori, in particolare le madri delle persone con anoressia nervosa, risultano mettere in atto modalità iperprotettive, rigide e dominanti.
All’interno del contesto familiare, vengono incoraggiati la disciplina, l’ordine e il successo, piuttosto che la conquista dell’autonomia e dell’indipendenza di giudizio.
In tal modo, le figlie con anoressia nervosa possono esprimere una totale aderenza al modello materno. Inoltre, deficitando di qualunque senso di riconoscimento positivo, fino a percepirsi come prive di valore e incapaci di tenere sotto controllo le loro funzioni corporee, reinvestono, in modo inconscio, la loro ansia e senso di inadeguatezza nel controllo del cibo assunto.
Per tale motivo, uno degli approcci strategicamente più efficaci per il trattamento dell’anoressia nervosa è l’approccio sistemico-relazionale che prevede il coinvolgimento della famiglia che, nel tempo, può aver favorito l’insorgenza del sintomo.
Per approfondire:
- Manara F., L’anoressia nervosa tra psichiatria, psicologia e medicina, Franco Angeli, 1991;
- Mara Selvini Palazzoli, L’anoressia mentale: dalla terapia individuale alla terapia familiare, Ed. Raffaello Cortina, 1998;
- Selvini Palazzoli M., Cirillo S., M. Selvini, A.M. Sorrentino, Ragazze anoressiche e bulimiche: la terapia familiare, Ed. Raffaello Cortina, 1998;
- Ugazio V., Storie permesse storie proibite. Polarità semantiche familiari e psicopatologie. Ed. Bollati Boringhieri, 1998.
Autrice: Lorella Cartia