
Autolesionismo: sentire il male dentro
Un dolore emotivo può essere vissuto, soprattutto in adolescenza, come talmente profondo ed indicibile da venire unicamente espresso attraverso azioni autolesive volte a farlo emergere.
Il termine autolesionismo si riferisce infatti a tutte quelle condotte messe in atto per procurarsi intenzionalmente del dolore fisico, non sempre però associate al desiderio di porre fine alla propria vita, altrimenti definito dal DSM-5 come “Autolesionismo non suicidario” (NSSI not suicidal self injury), dove a prevalere è la ricerca di un senso di sollievo da una sofferenza emotiva o uno stato cognitivo negativo, anche se va precisato che l’autolesionismo potrebbe costituire un fattore di rischio di condotte suicidarie!
La diffusione di questo fenomeno, che ha una maggiore incidenza nella fase del ciclo vitale dell’adolescenza, sta assumendo le caratteristiche di un effettivo e urgente problema sociale, dove il corpo diviene lo strumento comunicativo scelto per consegnare al mondo esterno dolori e disagi, paure e sofferenza soprattutto quando l’ascolto e la possibilità di ricevere comprensione appaiono impraticabili, al punto da sentire di non avere altro canale di espressione.
Inoltre, l’adolescenza come periodo caratterizzato da profondi cambiamenti fisici e psichici, aumenta anche la vulnerabilità alle emozioni e la sensazione di incapacità di gestirle e regolarle poiché percepite come incontrollabili e schiaccianti, ecco perché in alcuni adolescenti la condotta autolesiva non suicidaria svolgerebbe proprio quel ruolo di regolatore delle emozioni.
Sono molti infatti i ragazzi che riportano quanto il tagliarsi o il bruciarsi rimandi una sensazione di immediata calma e piacere, al punto da sentire l’esigenza di ripetere l’azione nel tempo, col rischio che si trasformi in vera e propria dipendenza.
Ma quali sono le cause dell’autolesionismo?
I fattori riscontrati come concause del comportamento autolesivo sembrerebbero essere:
- Predisposizione genetica;
- Influenze ambientali e vivere in un contesto ritenuto ostile e aggressivo;
- Storie di traumi e di relazioni disfunzionali anche a livello familiare;
- Presenza di disturbi mentali come depressione o disturbo borderline di personalità.
Parlando delle possibili funzioni dell’autolesionismo, quella primaria appare essere la possibilità di regolare le emozioni, come precedentemente detto, rendendo “gestibile” ciò che altrimenti non si riuscirebbe a tollerare, riportando all’esterno e trasformando in visibile l’invisibile e l’insopportabile; in altri termini il dolore fisico risulterebbe più controllabile, più reale e tangibile del dolore psicologico, oltre a poter anche rappresentare a tutti gli effetti una richiesta di aiuto.
Vista l’entità sempre più importante e la diffusione del problema con le conseguenze negative che ne possono derivare, diviene inevitabile intervenire quanto più precocemente possibile su questa forma di sofferenza.
Sarà soprattutto compito degli adulti di riferimento, anche con il supporto di professionisti della salute, aiutare e sostenere i ragazzi nel percorso di presa di consapevolezza dei loro vissuti emotivi, uscendo dal mondo di solitudine ed isolamento in cui spesso si sentono prigionieri, intervenendo per rinforzare le emozioni positive e per intensificare le modalità sane e funzionali di regolazione emotiva che aiutino a denominare e riconoscere le diverse emozioni e riappropriarsi di queste, cercando inoltre modi più adeguati di comunicare e condividere il proprio mondo interiore.
Per approfondire:
- Drappo L., Autolesionismo, Quattroventi, 2005;
- Le Breton D., La pelle e la traccia, Meltemi, 2016.
- Mendolicchio L., Prima di aprire bocca, Guerini e Associati, 2018;
Autrice: Ilaria Corona